Forum terra cruda #2: Roberta Busato

Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella

Dove ti trovi?

Sono a Buscoldo, una frazione a pochi km dal centro di Mantova, in una vecchia stalla all'interno di una corte in campagna, che adesso è il mio studio. Qui si sta in pace: non arriva nessuno e tutti si prendono il proprio tempo.

Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella
Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella

Sei di Mantova o ti ci sei spostata per lavorare?

Sono originaria della provincia di Verona, e prima ho abitato a Carrara, dove ho studiato all'Accademia di Belle Arti, poi Lucca, Pietrasanta, e infine qui. A Carrara ho studiato pittura con Omar Galliani, ma avvicinandomi anche alla scultura con diverse tecniche e materiali. La possibilità di attraversare più discipline mi ha permesso anche di avvicinarmi al mondo della scenografia teatrale.

Lavoravi già con la terra cruda?

È arrivata praticamente da sola, con il trasferimento a Mantova. Me l'ha fatta conoscere un amico che lavora nel campo dell'edilizia; il primo passo è stato costruirmici una stufa. Da lì mi misi in contatto con la fornace Brioni,

ho conosciuto Matteo e mi si è aperto un mondo. Matteo si è mostrato fin da subito fiducioso sulle possibilità di sperimentazione: mi ha riservato uno spazio ad atelier entro il complesso della fornace, mettendomi in contatto con il prezioso apporto di persone esperte come Linda Antonietti.

Per te l'arte parte dall'idea di occupazione dello spazio, ma io ho presente soprattutto i tuoi volti in terra cruda: come si conciliano queste due dimensioni?

Il volto parte sempre da due mattoni in terra cruda. Un modulo architettonico, quasi un “reperto”, da cui scaturiscono immagini famigliari, anche se non provengono da ritratti, ma da un'immaginario personale che si è via via stratificato nel tempo. L'idea di generare la forma di un volto partendo da un elemento astratto come il mattone sintetizza il tema centrale del mio lavoro: la condizione umana entro uno spazio, o un luogo. Credo che in questo approccio c'entri anche l'esperienza con lo spazio scenografico.

Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella
Opera Roberta Busato, foto di Giuseppe Gradella

Faccio un nome: Medardo Rosso...

Sai, è sempre un po' complicato essere accostati a chi è venuto prima di te, e ha fatto quello che stai facendo adesso molto tempo prima: a volte sembra quasi un esame. Nel mio caso vale per Medardo Rosso, come per Costantin Brancusi: a loro mi sento collegata dall'operare sulla trasformazione dell'umano. In questo momento sto anche lavorando con la cera d'api: il materiale a cui si pensa istintivamente, quando si parla di Medardo Rosso...

Quando hai menzionato Brancusi ho pensato alla Colonna infinita e ai suoi moduli tutti uguali, che rappresentano diverse individualità umane. In tal senso, mi chiedo se nella scultura tu agisca sottraendo o aggiungendo materia, o magari semplicemente spostandola...

Nel gesto scultoreo o si mette o si toglie. In particolare, io penso di scavare, anche in senso figurato, per entrare in una dimensione più profonda rispetto al volume plasmato. Non credo di spostare materia, credo forse più che ci sia una compenetrazione nelle dimensioni e nelle misure che accolgono una forma. Nelle teste, in particolare, è come se da una cosa nascesse un'altra: c'era qualcosa all'interno e io non faccio altro che indagarla e farla emergere.

Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella
Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella

Come lavori la terra: direttamente con le mani o usi degli attrezzi?

Con le mani. Principalmente il lavoro parte dall'impasto delle diverse terre, con l'aggiunta di inerti e di paglia: un materiale che proietta in un mondo che appartiene all'antichità e a un'altra cultura delle costruzioni. A volte lavoro direttamente sulla terra; in altri casi partendo da un calco in negativo, per esempio una testa di animale. Si tratta di due procedimenti molti diversi, con una diversa manipolazione del materiale.

La paglia è un elemento anche espressivamente molto forte...  

Come la terra cruda è un materiale molto sporco... sono entrambi famigliari perché fanno parte della quotidianità: siamo abituati a vedere la terra. Però sono anche materiali sporchi, che possono creare difficoltà anche solo nell'essere maneggiati. Immagino spesso che quello che faccio non sia altro che prenderli e inserirli in un contesto diverso, dentro un volume. Penso che la scultura sia una cosa antipatica: occupa uno spazio, non si sa dove metterla. Se poi è fatta di terra cruda o paglia, peggio ancora. Nel mio lavoro c'è anche la violenza di questa presa di posizione, la violenza insita nell'occupazione dello spazio.

Quando dici “sporco” sembra anche tu ridefinisca il concetto di “non finitezza”, con tutto ciò che questo possa significare, sia in senso spaziale sia temporale...

Si, esatto. Poi la cosa che sorprende è la materia portata a lucidità, levigata in maniera tale da richiamare un altro materiale: la pietra, a volte il cuoio. Un procedimento che non solo trasforma il materiale, ma lo forza, lo ridefinisce fino ad attribuirgli un valore diverso.

Come appaiono le tue sculture, in termini di “durezza”?  

Sembrano dure solide, ed è questo l'aspetto più particolare, se pensiamo che si tratta di materia cruda, malleabile, lavorata semplicemente attraverso compressione. Qualcuno a volte si aspetta di trovare i voplti caldi al tatto, da quanto il materiale appaia vivo, pur non essendo realmente vivo. In principio era presente sulla superficie una leggera sfarinatura, ma col tempo ho affinato la tecnica di lavorazione, per cui adesso non si manifesta più (a meno che io non voglia). 

Qual'è stato l'apporto più significativo di Matteo alla tua esperienza con la terra, oltre a quello più strettamente tecnico?

Matteo è sempre una grande fonte di sapienza (ride). Mi affascinano i suoi racconti di avventura alla ricerca delle terre più differenti, attraverso cave sparse per il mondo. Al di là delle proprietà dei materiali, parlare con lui significa addentrarsi in ciò che stava prima e dietro alle singole terre. Mi ricordo, una volta, una conferenza su Aaron Demetz a Palazzo Tè a Mantova, Matteo era con noi. Quando ha iniziato a parlare, descrivendo il suo lavoro, nel pubblico (che prima mi sembrava un po' annoiato) si è prodotto una specie di incanto. Al di là degli argomenti, parlava con una franchezza che portava nel profondo della dimensione umana, dell'uomo legato a una materia che quotidianamente calpestiamo. Penso che se c'è una parola che possa descrivere Matteo è proprio “franchezza”: quella che a me occorre per entrare quotidianamente nella dimensione della scultura. 

Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella
Roberta Busato all'opera nell'atelier di Matteo Brioni, foto di Giuseppe Gradella

A proposito di calpestare: ieri mio figlio mi ha chiesto se preferivo avere quattro mani o quattro piedi. Il che (non so bene perché) mi porta adesso a chiederti quale pensi sia oggi la funzione dell'arte

Credo che la funzione dell'arte oggi sia fortemente legata alla responsabilità, perché avendo manifestazioni molto diverse tende ad allontanarsi dalla dimensione del linguaggio e della parola. Può farsi portatrice di una riflessività slegata dai meccanismi del verbo o dalle illustrazioni del presente, e per questo indirizzare verso nuovi compimenti. L'arte è da sempre fondamentale nella vita della società. Anche senza aver bisogno di niente.

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