Forum Terra Cruda #3: Linda Weimann

Guido Musante: hai studiato design alla Royal Danish Academy e, forse anche per quello, il tuo lavoro può apparire come una specie di “ponte” tra design e arte. Come interpreti la relazione tra queste due dimensioni creative?
Linda Weimann: design e arte appartengono a settori diversi, ma che guardano alla stessa prospettiva. Personalmente, più che le definizioni, mi interessa quanto la loro interazione riesca a innescare la mia curiosità.
Mi piace la parola danese “kunsthåndværker” (artcrafter): è collegata a immagini industriali degli anni Venti, ma penso che oggi meriti un nuovo un posto nel design e nella produzione artistica. Il termine può evocare l'arte del fare come tema che genera connessione, guarda al contesto, si approccia alla creazione di un inedito modello industriale. Ho sempre lavorato e cercato questa condizione interdisciplinare. Trovo ispirazione nel modo in cui un campo corrisponde e si relaziona a un altro: per me, l'uno non può esistere senza l'altro. Il design è un palcoscenico e l'arte è la storia che vi si svolge, e talvolta viceversa. Nella mia formazione, mi è stata offerta la possibilità di sviluppare questa propensione: ho imparato a essere un pensatore visivo, a essere ingenua e concettuale allo stesso tempo. Sono la figlia di un artista e artigiano stuccatore, e in fondo non mi sono poi mossa tanto dalla mia eredità, nella quale cerco di accettare chi sono.

Guido Musante: il tuo linguaggio artistico sembra sospeso tra archetipo e cinetica...
Linda Weimann: il mio approccio è una combinazione di diversi processi, che si basano molto sui valori estetici e sui materiali. Ma anche su concetti e memorie storiche.
A volte mi pare di cambiare solo la prospettiva consolidata, o perfino di non fare nulla, limitandomi a tralasciare parti o ad aggiungerne altre. Penso che gli ornamenti costituiscano un linguaggio che molte persone prima di me hanno sviluppato in tanti modi intelligenti. Non occorre progettarli di nuovo, ma costruirli in una dimensione contemporanea. Vedo l'armonia, gli elementi ripetitivi, i valori del simbolismo come una chiave di ispirazione, e penso che quando qualcosa risulti riconoscibile per l'occhio, allora fornirà un'esperienza di perfezione o imperfezione. Questo per me fornisce il valore dell'archetipo. Sono anche attratta dalla compiutezza dei processi che vanno dalla A alla Z. Ogni processo è importante quanto il risultato, e il risultato è uno specchio del processo. Piccoli passi nei tradizionali procedimenti artigianali, per esempio, possono generare un concetto o una forma espressiva inediti. Per quello, ho scelto di dare vita a oggetti artigianali, nei quali la cinetica rappresenta un enigma anche per me, il dilemma non controllato di tutto il processo creativo. Anche la natura muta e si trasforma attraverso un processo cinetico, e questo è bellissimo.

Guido Musante: la tua riflessione è anche un “dispositivo critico” per l'architettura moderna, in quanto scardina la tradizionale dicotomia tra decorazione e astrazione...
Linda Weimann: pongo tutta l'attenzione ai dettagli e al contesto in cui si esprimono; li considero un'impronta e una parte di tutte le cose. Quando scelgo di rendere attiva una storia, mi auguro che ciò possa permettermi di realizzare un commento critico su un soggetto più vasto.

Durante l'età moderna siamo diventati tutti profondamente dipendenti dall'astrazione dei linguaggi, dagli strati di significato o dal dover dare un senso alle emozioni. Sembra quasi che si sia giunti a possedere una funzione legata alla percezione dell'astratto, che si allinea con le altre percezioni essenziali. Tuttavia il modernismo consiste anche nell'usare il meglio della storia e attribuire con coerenza un nuovo ruolo ai diversi elementi. In tipografia, per esempio, i caratteri ornati, con le grazie, sono ancora vivi e vitali: semplicemente li usiamo in un altro modo rispetto a prima. La bellezza pulita del modernismo è nascosta in valori senza tempo – primi fra tutti i materiali –, e per questo credo che i frammenti decorativi su cui lavoro stabiliscano un collegamento con una dimensione sensoriale aggiunta. Forse allora la domanda è: perché abbiamo bisogno di una risorsa antica come il decoro? In merito a ciò posso solo dire che passare dal modernismo a un'altra condizione storica significa introiettare una variabile critica, lasciando all'arte il ruolo di sensore rispetto ai comportamenti. Credo che più che di modernismo si dovrebbe oggi parlare di “alter-modern”, visto che non possiamo più separare il linguaggio decorativo da quello astratto o minimalista.

Guido Musante: come hai conosciuto Matteo e il suo lavoro con la terra cruda?
Linda Weimann: durante un Salone del Mobile di Milano. Quando l'ho incontrati, ho percepito da subito la sua storia e il valore della terra cruda come fossero miei, sentendomi attratta dalla qualità di un materiale che percepivo come quasi come “scientifica”. La collaborazione con Matteo, ancora in corso, e lo sviluppo condiviso di diversi aspetti progettuali hanno fornito una dimensione espressiva completamente nuova al mio lavoro.

Il primo progetto comune a prendere corpo è stato Aslant; quindi abbiamo lavorato assieme sui rilievi e le sculture di Elements. In entrambi i casi, l'essenza era costituita dall'equilibrio tra forma e superficie. La mia idea era di enfatizzare la silhouette della forma, il suo contorno e il bordo del profilo, generando una prospettiva distorta del linguaggio ornamentale. La parola “aslant” deriva da un pensiero decostruttivista e suprematista, che predispone di abbattere l'ordine formale tradizionale cercando di dare vita a una nuova modalità espressiva. Ogni creazione rappresenta un frammento di noi stessi, dando senso a un'emozione: e questo spiega molte cose, anche il senso di quell'esperienza. Lavorando con la terra cruda ho avuto la possibilità di addentrarmi maggiormente nel processo di complessità della materia. Trovo che le combinazioni tra l'argilla e gli inerti siano in qualche modo in contrasto con il mio lavoro sulla forma, e che il loro incontro possa essere capace di dare vita a un ibrido tra due mondi.

La crudezza e il senso materico immediato che restituisce l'argilla trasmettono qualcosa di profondo, legato alle forze antiche e primarie; ci parlano di un “originale”, di qualcosa che si riferisce al presente fin dall'inizio. Per questo ho cercato di essere consapevole della condizione di tattilità e di intuitività che il materiale richiama, sfidando l'osservatore al controllo e al risveglio dell'evento naturale attraverso la dinamica della scultura.
Il mio lavoro con la terra cruda è un processo aperto, auto-guidato, che porta la luce a cadere sulla superficie scultorea in modo diverso in ogni punto, rendendo davvero autentico il significato di “unico nel suo genere”. Nella modellazione, che conduco attraverso modanature su modelli in gesso, il processo generativo di volume e superficie si svolge in modo calcolato e controllato (da sempre sono affascinata dagli algoritmi, che scandiscono l'evoluzione creativa, il dramma tra ordine e non ordine).

La terra cruda è una materia onesta e riconoscente, complessa eppure semplice, inerte ma in continua crescita: si muove sempre, come un essere vivente; come una madre, che è quella di tutti.