Forum Terra Cruda #4: FRANCESCO GASPERINI + GIACOMO DOMENICONI

Guido Musante: da dove iniziamo?
Giacomo Domeniconi: dal 1946, l'anno in cui i miei nonni paterni lasciarono le campagne per arrivare a Cesenatico, dove avviarono la locanda. Il piano terra lo adibirono a osteria di pesce, mentre al primo piano c'era la loro casa. Si chiamava Osteria Ponte del Gatto - da Nino (“Nino” scritto a caratteri cubitali perché il nome dell’oste aveva più importanza di quello del locale). I nonni furono i pionieri della ristorazione sul Porto Canale Leonardesco.
Guido Musante: e adesso tu...
Sì, insieme alla mia compagna, Alessandra. Ho deciso di riprendere la tradizione di famiglia dopo la Laurea in Interior Design allo IED di Milano: sentivamo entrambi l’esigenza di tornare a respirare aria di mare. In un anno di lavori abbiamo ribaltato completamente il locale, trasformando l’Osteria nella Locanda Remare: un ristorante di pesce con camere al piano superiore, che affittiamo come room&breakfast. Il nome che abbiamo scelto ha un doppio significato: è legato al nostro prodotto principale, il pesce (il re -del- mare), ma anche il “manovrare i remi per far muovere la barca”: una metafora che simboleggia il gesto di portare avanti le tradizioni famigliari. Francesco, che oltre a essere il mio migliore amico è anche un bravissimo architetto, si è rivelato fondamentale nel percorso.

Guido Musante: come avete vissuto il lavoro insieme?
Giacomo Domeniconi: definiti il concept e la disposizione interna degli spazi, mi sono reso conto che nonostante ci fossero le basi per fare un bel lavoro, occorreva far crescere il progetto e alzarlo di qualità: il successivo passo di chiamare Francesco è stato quasi naturale.
Francesco Gasperini: quando Giacomo e Alessandra mi hanno contattato, lavoravo da qualche mese nello studio asv3 Officina di Architettura di Fiorenzo Valbonesi, ed ero completamente assorbito da quell'impegno. Inoltre, il progetto della Locanda era già avviato, e non volevo intromettermi troppo nell’elaborazione del concept: entrambi si sono formati come interior designer ed era per me importante che prima di tutto fossero loro a costruirsi una idea dello spazio e di quello che sarebbe potuto diventare. Così, abbiamo iniziato a fare numerose cene durante le quali immaginavamo come dovesse diventare il locale: del loro sogno, più che del “da farsi” dal punto di vista tecnico. Dopo circa tre mesi, ci siamo trovati con il progetto praticamente fatto. Avevo realizzato un sacco di schizzi a mano libera, il modo che preferisco per esprimermi: non esistono render del progetto, solo schizzi. Siamo riusciti a portare a termine gli esecutivi in tempi brevissimi, impiegando ogni ora a disposizione, anche i weekend.
Giacomo Domeniconi: il cantiere è stato molto impegnativo, tanto che quando abbiamo aperto il locale ho pensato: “Oh, adesso comincio un attimo a respirare!”.

Guido Musante: su che basi avete impostato il progetto?
Francesco Gasperini: puntavamo innanzitutto sulla matericità: un carattere attraverso il quale si potesse dare allo spazio un proprio vissuto, una sua memoria. L’edificio è sviluppato attorno a un corpo centrale, a cui è collegata una veranda in legno e vetro, che era chiusa da anni. Sul lato corto, affacciato su Porto Canale, abbiamo deciso di realizzare una vetrata a filo e di spostare l’ingresso dove in precedenza c’era la veranda, disegnando un piccolo patio verde con una panca. Un luogo in cui la gente potesse fermarsi a chiacchierare, accolti come veri osti da Giacomo e Alessandra, che tenevano molto a questo aspetto. Dalla reception all’ingresso si apre un'infilata prospettica che arriva fino alla cucina a vista, fronteggiata da un piccolo ripiano su cui si può mangiare, di fronte alle portate.
Giacomo Domeniconi: volevamo che ogni elemento, dall’interior design alla ristorazione fino alla maniera di accogliere, si sviluppassero attorno all'idea di “lusso informale”. Nell’arredo, questo concetto si realizza attraverso materiali qualitativi e ricercati, che non ostentano il proprio pregio. La semplicità è, in qualche modo, anche il nostro modo di interpretare la sostenibilità ambientale. Abbiamo cercato di realizzare un progetto di alta qualità, sia nell'offerta gastronomica sia negli arredi e nel servizio di ospitalità, senza però far calare tutto dall'alto. Nella nostra cucina vengono usati non più di due o tre ingredienti per piatto, con risultati che però sorprendono (a volte dico ai clienti che la scarpetta è obbligatoria...): nel design è lo stesso

Guido Musante: da cui la scelta della terra cruda: un“ingrediente” sostenibile e “informalmente lussuoso”...
Francesco Gasperini: sì, di questo materiale ci affascinava soprattutto la raffinata semplicità. Mi ero già interessato alla terra cruda di Matteo per via di un precedente progetto per PSLab, un ditta di Beirut che si occupa di lighting design, per cui cercavo una materiale che donasse una particolare texture alle pareti: si trattava di una specie di intonachino, applicato con la spatola di metallo. Ricordo che qualcuno mi consigliò di rivolgermi a Matteo Brioni, e di essermi innamorato delle sue terre appena ne vidi i campioni. Nel ristorante abbiamo realizzato il primo metro in una tinta in tono, per contrastare i problemi di umidità (in questa zona tutti i muri storici sono immersi per due metri nell’acqua salmastra, per cui le macchie tendono sempre a formarsi, qualsiasi intonaco deumidificante si possa usare).

Matteo ha realizzato diverse varianti tra le tonalità Polvere e Panna, finché abbiamo trovato il punto di colore perfetto: un bianco sporco dalla tonalità calda. Il progetto è molto sartoriale e tutti i dettagli sono disegnati su misura: dalle maniglie alle porte, fino all’erogatore della birra, in acciaio inox. Per questo era fondamentale trovare la tonalità giusta di legame. In ognuna delle quattro camere al piano superiore abbiamo realizzato una parete-bassorilievo sulla testata del letto applicando una terra di Matteo di colore diverso, che dà anche nome alla stanza. Senape e Cannella sono le due camere matrimoniali che si affacciano sul Porto Canale; la tonalità Fango è diventata la camera Origano, per mantenere l’associazione con la cucina; Pepe Nero invece avrebbe avuto lo stesso nome di un famoso night club della zona, quindi (nonostante sia una delle mie spezie preferite) è diventata Liquirizia.



Guido Musante: come si integra la terra cruda di Matteo con gli altri materiali?
Francesco Gasperini: nel ristorante abbiamo usato il noce canaletto, un materiale molto elegante, quasi etereo, ma nello stesso tempo caldo: caratteristiche che lo fanno interagire in maniera profonda con le superfici in terra cruda. Nel ristorante, questo legno è applicato praticamente dappertutto: nelle panche, nelle sedie, nella boiserie. Mi interessa generare situazioni nello spazio, non ricerco la ripetizione. Per questo nel locale convivono tavoli lunghi tre metri e mezzo con altri circolari da sei persone, con un diametro di un metro e ottanta, mentre gli intonaci in terra cruda definiscono il tema conduttore di fondo: gli uni sono fondamentali agli altri, e viceversa.

Giacomo Domeniconi: la scelta della terra cruda di Matteo, dei diversi materiali che le si affiancano e più in generale l'impostazione del progetto di interior è dovuta anche al desiderio che il ristorante non fosse monotono. Odio i locali piatti, con le stesse finiture e gli stessi arredi in tutto l'ambiente. Penso sia più interessante tornare in un luogo dove ci si può sedere una volta su una panca, un'altra a un tavolo rotondo e un’altra ancora a un tavolino da due, magari fronte Canale. Per cercare questo dinamismo, nel progetto di ristrutturazione abbiamo tolto tutto – pareti, contropareti, rivestimenti, fino ad arrivare allo scheletro dell’edificio –, per far dialogare lo spazio del ristorante con la veranda, originariamente separati da porte di vetro.
Giacomo Domeniconi: durante i lavori di demolizione, smantellando una controparete all’ingresso, abbiamo scoperto un muro in mattoni strombato di circa trenta centimetri. Giacomo e Alessandra hanno deciso di lasciarlo al naturale, con tutte le viti e l’usura del tempo, nonostante la consapevolezza che richiederà costante manutenzione, perché butterà fuori sale, in quanto immerso completamente nel terreno portuale. Però in quella parete si vede tutto lo scorrere naturale del tempo: una qualità “viva” che abbiamo ricercato anche nella scelta della terra cruda.

Guido Musante: anche la lamiera è molto importante nel progetto...
Francesco Gasperini: per me quando si parla di ristorazione, si parla di fuoco. La lamiera da laboratorio blu fiammata dei banconi della reception e del bar è un elemento essenziale; non potevano essere in un altro materiale.
Giacomo Domeniconi: per me non è stato subito facile accettare l'idea di inserire in un locale nuovo un materiale che con il tempo sarebbe andato rovinandosi. Poi però ho capito che il suo bello sarebbe stato proprio questo: cambiare con tempo, come se fosse vivo. Abbiamo utilizzato la lamiera anche nella parete principale del ristorante, la prima che si vede arrivando al locale, che poi è anche il primo che si incontra visivamente entrando in città: il “Benvenuti a Cesenatico” visibile anche da fuori. In questo caso abbiamo collaborato con la De Castelli di Treviso, un'azienda che lavora ottoni e metalli dorati, realizzando su misura un rivestimento costituito da una serie di cerchi sovrapposti che ricordano le squame di un grande pesce metallico. Anche qui, il metallo fiammato gioca in maniera molto interessante con la terra cruda, che costituisce la finitura della parete di fondo. Molti clienti ne rimangono colpiti, e alcuni ci hanno anche confessato di essere entrati nel locale proprio per quella parete. Esattamente quello che speravamo, quando l'abbiamo realizzata con Matteo.

Guido Musante: molte volte nella città i “segnali di orientamento” non nascono con questo scopo: sono elementi architettonici con particolari caratteri, talvolta appartenenti agli spazi interni, perfino quelli più domestici e privati. Mi sembra sia così anche in questo caso...
Francesco Gasperini: in tutto il progetto della locanda c'è questo scambio percettivo con la città. Anche l’intonaco esterno color caffè sporco che riprende il colore delle vele nelle imbarcazioni storiche all’ingresso del Porto. All’inizio abbiamo ricevuto diverse critiche per questa scelta, che però, col tempo, è stata sempre più compresa, fino a diventare del tutto “familiare” al luogo. Ogni parte del progetto affonda le basi nella memoria e nei costumi: dall'edificio fino alle stoviglie. I piatti e i bicchieri, per esempio, sono stati realizzati da Debora Carlini, una ceramista che ha il laboratorio a pochi chilometri da Cesenatico: ci piacevano perché mostrano la parte più ruvida della materia, quella sporca e reale.

Guido Musante: in generale, penso sia interessante provare a reimmaginare la progettazione in chiave tradizionale; non intendo “tradizionale” in senso classico, ma come linguaggio che si rinnova passo passo. Come l'arte della cucina, per esempio, ma anche la sapienza degli artigiani: i falegnami, i posatori, i tinteggiatori...
Francesco Gasperini: è un'immagine che mi colpisce molto. In fondo, la memoria si esprime prima di tutto nella tecnica. Nel progettare il ristorante mi sono rivolto a maestranze artigiane più esperte di me, applicando il loro sapere nella realizzazione dei vari elementi: da un certo punto di vista, non mi sono inventato niente.
Giacomo Domeniconi: una bella scalata! Riproporre la tradizione senza cambiarne le vesti ma adattandone i concetti in chiave contemporanea: sulla supericie di una parete così come nei sapori di un piatto... bellissimo!